La metafora dell’isola intesa come parte di terra indipendente, dove la forza degli elementi consiglia e non distrugge, modifica e non costringe.
Zakinthos l’ultimo capriccio musicale di Francesco Bruno, pare proprio incarnare lo status di artista isolano. L’isola greca tanto cara al Foscolo, con le sue sabbie bianche e pareti fastidiose, sottoposta alla cura dei venti.
Il vento questa presenza millenaria portatrice di refrigerio ma anche di sventura è il focus primigenio della visione del musicista, sospinto, come in altri precedenti lavori, da due alisei molto particolari il batterista Marco Rovinelli e il contrabassista Andrea Colella.
Chi vi scrive ha avuto il piacere di assistere dal vivo a questa sferzata di note, le tracce sono otto, una dedicata all’isola greca Zakintos (Zacinto), che è da considerarsi come una sinossi, una sorta di prologo che circonda
l’esposizione che si sviluppa lungo un capriccio qui in duplice veste (la reiterazione del termine non è casuale), da una lato l’ingerenza naturale con il carico di imprevedibilità e dall’altra la precisa scelta artistica di non presentare il pianoforte, uno strumento su cui i jazzisti si poggiano con più facilità, evitando quelli che si chiamano “vuoti d’intesa”, che qui invece vengono magistralmente schivati dal contrappunto e dall’intreccio.
Le note viaggiano in parallelo, poi si scontrano, si lasciano virando obliquamente. Il jazz esprime la sua più autentica magnificenza se visto dal vivo è lì che il vento musicale unisce il richiamo degli occhi.
Gli sguardi si cercano, gli strumenti eseguono il comando del corpo in un’alternanza di supremazia subito pronta a retrocedere a favore dell’altro.
In quest’ottica il jazz potrebbe considerarsi una scuola di vita, in cui lo sforzo è collettivo e i meriti sono di tutti, spinti dalla consapevolezza di arrivare a destinazione contando sulla reciprocità.
Questo disco scapiglia, destabilizza, la tradizione secolare viene riarrangiata, rimescolata con rispetto e riverenza senza mai scadere nel manierismo che oggi sta ingessando l’arte non solo musicale. Libeccio,
ponente, maestrale, brezza bisogna saperli ascoltare perché portano origini diverse, storie diverse, aria diversa, ogni brano proposto ha il suo vento e al termine della burrasca c’è sempre la persona a omaggiare quel che lascia per stabilire una continuità tra strumento e istinto.
Roberto (Iago) Sannino
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