In occasione della 28° edizione del Film Festival della Lessinia (FFDL), la rassegna cinematografica internazionale dedicata alla vita, alla storia e alle tradizioni sulle montagne di ogni angolo del mondo, abbiamo avuto la possibilità – grazie alla piattaforma MyMovies – di assistere alla proiezione della pellicola di alcuni film in concorso e tra quelli che ci hanno colpito di più c’è Il sergente dell’ Altopiano: un viaggio tra presente e passato, ricco di testimonianze e riflessioni per raccontare lo scrittore Mario Rigoni Stern.
Mario Rigoni Stern sta all’ambientalismo montano come i monti Lessini alle Alpi. Per Alessandro Anderloni, direttore del Film Festival della Lessinia, è un’equazione scontata ed era un tributo di riconoscenza doveroso proporre fra le candidature il documento filmato e prodotto da Federico Massa e Tommaso Brugin.
Come spunto di partenza del lavoro non si può non citare Giuseppe Mendicino, altra vetta vivente, dell’ Alta ecologia, che ha firmato Il sergente dell’Altopiano, la storia Mario Rigoni Stern e vari altri volumi a lui dedicati.
Relegare la figura di Mario Rigoni a quella di ambientalista è troppo riduttivo. Qui si compie il miracolo della conversione di un giovane robusto Alpino cresciuto nell’era fascista con velleità belliche che prende coscienza della assurdità della guerra convertendosi al pacifismo.
“Nel 1940 sulle montagne dell’ Albania con il freddo, la neve e senza nulla da mangiare cominciai a ragionare…” Questa la sua aperta confessione senza giri di parole. Schietta come i suoi libri, in cui spesso veniva accusato di essere poco prolifico, e lui con la sagacia montanara ribatteva: “Leopardi ha descritto l’Infinito in pochi versi.” Quello che c’è di speciale in Mario Rigoni Stern è che tutti quelli che ne parlano, oltre che a conoscerlo come scrittore, erano suoi amici, da Ermanno Olmi a Primo Levi, con il quale rimpiange di non essersi frequentato abbastanza. L’hanno vissuto oltre che letto perché riconoscevano in lui un uomo fiero con il coraggio di testimoniare. Non è mai stato facile testimoniare e se risulta controproducente è meglio lasciar stare, come ha fatto la Titanus che dopo dieci anni di studio su come girare il Sergente delle Nevi si è tirata indietro.
Mario, così per i suoi amici, non covava rancori o sentimenti di vendetta verso quegli esaltati che lo hanno condotto perfino in un lager per aver rifiutato di aderire alla Repubblica di Mussolini.
Le piccole rivincite se le prendeva con l’ironia. Parlando del padre, per esempio, che era un militare convinto pur senza mai aver combattuto al fronte, non esita a definirlo come “Quel fante del Carso…”
Non considerò rivincite nemmeno gli innumerevoli riconoscimenti letterari, Viareggio, Campiello, Bagutta ecc. “Il mio vero capolavoro – diceva – è stato quello di aver ricondotto a casa settanta miei uomini dalla dissennata campagna in Russia senza perderne uno.”
Nel filmato si alternano immagini di repertorio in bianco e nero e altre più recenti in una gradevole narrazione che regala a questo lavoro uno speciale appeal che lo discosta da un normale documentario di interesse socioculturale. Anche se poi il vero appeal è lì, in Mario Rigoni Stern.
By Fabrizio Compagnoni
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