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Restart: il gioiellino senza etichette di Antonio Cocomazzi

Tutte le volte che mi trovo di fronte ad album come questo gioiellino, Restart di Antonio Cocomazzi – interpretato al pianoforte dallo stesso Cocomazzi e al sax da un eccellente Mario Marzi – , mi ripropongo il problema di sempre: che genere è? quale la scrittura? In realtà la risposta è sempre la stessa: un pesante senso di impotenza, una voglia di scappare. Dalle definizioni e dalle gabbie. Eppure, è indiscutibile: le definizioni servono in qualche modo da avviso ai naviganti. Suggeriscono, per somiglianza e assonanza, quegli spunti che possono aiutare il lettore a capire di che cosa si sta parlando, anzi ascoltando. Non basta dire che un disco è bello, ben interpretato, ben scritto. Bisogna spiegare perché.

Ed eccoci qui: innanzitutto va detto che Cocomazzi utilizza molto, moltissimo tutto quel mondo ritmico e armonico che ha indubbiamente assorbito dal jazz. E che è la cifra distintiva che rende la sua scrittura, possiamo dire classico- contemporanea, non solo lieve e comprensibile, ma anche sfiziosa, curiosa e ricercata. Diciamo anche che si tratta di ingredienti che regalano, dietro una scrittura precisa e puntuale, un calore ed una passione intriganti. Ed ecco: il suo non è jazz proprio perché le sue sono note scritte, una per una, non c’è nulla di improvvisato. E la scrittura di può ascoltare proprio nella ricchezza strutturata  dei contenuti musicali. Che Marzi sa restituire con calore e precisione, pulizia e colore, regalando alla cosiddetta musica classica la potenza e l’emozionalità di uno strumento reso grande dalla musica più calda che c’è, il jazz.

Una nota aggiungerei: questa di Cocomazzi è una scrittura che ha un vero e proprio piglio narrativo, un volare alto con e sui suoni che ci fanno immaginare queste note splendidamente adatte alla trasparenza di una colonna sonora. Chissà che questo non sia il suo futuro…

 

Margot Frank

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