Malgrado tutti gli stop and go causa Covid, ha preso l’avvio, distribuito da Emera Film, il tour in sala de La guerra a Cuba, il lungometraggio di Renato Giugliano con interpreti Elisabetta Cavallotti, Younes El Bouzari, Marco Mussoni, Luigi Monfredini, Lorenzo Carcasci e molti altri. Il film è frutto di un progetto sociale che mira, in primo luogo, a voler dar voce alla grande comunità di immigrati che occupa una zona piuttosto vasta dell’Emilia Romagna, situata tra Modena e la Valsamoggia. Tematiche come l’integrazione sociale, la mescolanza etnica e culturale, il razzismo, l’intolleranza, la sempre spinosa questione dell’asilo politico e la commistione tra culture diverse (e non solo), vengono qui raccontate in chiave del tutto nuova. Attraverso questo lavoro il regista Renato Giugliano fa riflettere non soltanto lo spettatore su come la manipolazione delle informazioni possa velocemente far presa sulla società – o su una piccola comunità – influenzandone rapidamente l’opinione pubblica, ma anche sull’importanza e sulle potenzialità che, oggi, il cinema indipendente possiede e deve sfruttare.
“In quanto ‘cinema indipendente’, non si deve appunto parlare di una ‘minusvalenza’ screditando questa tipologia di racconto -afferma Giugliano in un’intervista-, ma si deve piuttosto far riferimento ad un modo di far cinema, la cui forza si sviluppa partendo dal basso, al fine di voler raccontare una storia, un documentario, un video clip. Avvalendosi, quindi, della pura realtà dei fatti, della vita stessa degli immigrati, dalle loro testimonianze, si vuole scardinare tutto quel mondo di fake news in cui, oggi, il giornalismo e la comunicazione annegano. Il cinema non deve insegnare niente – continua Giugliano a tal proposito – ma vorrei che, almeno il mio cinema, desse qualcosa cui pensare, fosse uno stimolo alla riflessione e al dibattito, e magari, indirettamente, aiutasse le persone a mettere in discussione le informazioni che arrivano dall’esterno presentandosi come ‘verità'”.
Ecco, allora le cinque storie, un fucile, la festa del patrono, una piccola comunità immersa nella quotidianità, degli outsider e una giornalista senza scrupoli proveniente dalla grande città, collegati da un filo rosso che lega insieme fake news e integrazione. Al di là dei tecnicismi e, forse, di qualche piccolo difetto formale, questo film ci spalanca gli occhi sulla realtà, si impone a livello contenutistico e morale e ci spinge a riflettere sul ruolo che ognuno di noi ricopre quotidianamente in questa società difficile. Insomma, è un film necessario e denso di etica e umanità. Di quei film che hanno la capacità di lasciare e lanciare un dubbio ed una riflessione. Giugliano non è Ken Loach, non ancora, ma ne ha il cuore e la passione. Domani ci potrebbe riservare anche una perfezione formale.
– Francesco Ferri