Il Mondo Intorno Recensione

Com’eri vestita: una mostra che è un vero cazzotto nello stomaco

Abbiamo presentato qualche tempo fa la Mostra Com’eri vestita? – L’abito non è un alibi, inaugurata il 7 marzo e terminata il 15 marzo al Palazzo di Giustizia di Trieste, promossa dalla Consulta Femminile di Trieste. Lo ricordiamo: ad essere esposti nell’atrio del Palazzo erano gli outfit di donne vittime di violenza di genere: una prova di come una donna viene ingiustamente colpevolizzata per come veste nei numerosi casi di violenza. Allestita lungo gli spazi del Tribunale, sul salire delle scale, ad ogni gradino una storia: cruda, violenta, atroce e terribilmente attuale. Ad ogni abito un colpo al cuore. Un’idea di come la violenza sia un’arma ingiustificata di supremazia. Un tentativo di sottomissione, controllo, ossessione, crudeltà. Non c’è nulla che venga in mente se non immagini tristi e un totale senso di impotenza per tutte le lacrime e il sangue versato. Donne che sono state figlie, madri, sorelle e ad ora più niente. Donne che a causa della violenza hanno perso la propria libertà, abusate intimamente senza alcun lontano consenso. Vittime di un potere egoista al quale non sono riuscite a scappare. Soprattutto, vittime di una colpevolizzazione continua per il proprio modo di vestire, comportarsi o vivere.

Lo ricordiamo: la mostra è l’adattamento italiano a cura di Libere Sinergie da What Were You Wearing?, l’installazione ideata nel 2014 da Jen Brockman, direttrice del Centro per la prevenzione e l’educazione sulle aggressioni sessuali presso la University of Kansas, e Mary A. Wyandt-Hiebert, direttrice delle iniziative di programmazione del Centro di educazione contro lo stupro presso la University of Arkansas.
La Consulta Femminile di Trieste ha realizzato questo allestimento, ovviamente, con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica e non a caso a cavallo della Giornata internazionale della donna oltre che in corrispondenza dei tanti casi di cronaca che affolano le testate. L’obiettivo era chiarissimo ed è sicuramente arrivato a dama: far comprendere che non serve a nulla indossare una tuta sgualcita o una minigonna, ogni donna ha diritto di vivere nella sua libertà e senza rischiare nulla. Un tentativo per abolire i luoghi comuni, speranzosi tutti che il processo cambi al più presto. Perché ogni donna ha il sacrosanto diritto di essere sana e salva, ogni giorno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *