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Recensione di Family Therapy: un ritratto spietato della mancanza di empatia

Ci sono film che ti colpiscono dritto allo stomaco, senza bisogno di scene urlate o svolte spettacolari. Family Therapy di Sonja Prosenc è uno di questi. Una produzione di Monoo (Slovenia), in coproduzione con Incipit Film (Italia), Incitus Film (Norvegia), Living Pictures (Serbia) e Wolfgang&Dolly (Croazia), distribuito da Emerafilm: dopo aver conquistato il Tribeca e ricevuto la candidatura slovena agli Oscar 2025, il film approda in Italia, portando con sé un racconto glaciale e potentissimo sulle dinamiche familiari e sulla mancanza di empatia, vero male del nostro tempo.

La storia ruota attorno a una famiglia slovena benestante, chiusa nella sua elegante e asettica casa di vetro, un’immagine perfetta della loro esistenza apparentemente perfetta. Quando l’estraneo Julien (Aliocha Schneider) entra in scena, la fragile facciata va in pezzi, rivelando un microcosmo fatto di ossessioni e segreti: una madre (Katarina Stegnar) soffocante nel suo controllo sulla figlia Agata (Mila Bezjak), un padre (Mirko Mandić) sempre con la testa tra le stelle e un mistero nascosto sotto la parrucca di Agata.

La grande forza di Family Therapy sta nella sua atmosfera senza tempo, creata da una fotografia straordinaria e da un’ambientazione immersa nella natura del Friuli Venezia Giulia. La scelta di girare quasi interamente in questo territorio regala al film un respiro particolare, sospeso tra il reale e il metaforico. Il contrasto tra la freddezza della casa di vetro e la natura selvaggia che la circonda amplifica il senso di isolamento emotivo dei protagonisti.

Sonja Prosenc dirige con lucidità chirurgica, evitando il facile melodramma e affidandosi a una narrazione che gioca sui silenzi, sugli sguardi e sulle crepe sempre più evidenti tra i personaggi. Le interpretazioni sono di un’intensità rara: Aliocha Schneider, con la sua presenza magnetica, è il detonatore di un’esplosione emotiva che ribalta ogni equilibrio, mentre Katarina Stegnar incarna alla perfezione la rigidità di una madre che crede di proteggere ma in realtà soffoca.

C’è chi potrebbe trovare Family Therapy troppo lungo o il finale poco chiaro. In realtà, è un film che chiede allo spettatore di riempire i vuoti, di sentire il peso delle emozioni non dette. Non è un’opera che dà risposte facili, ma un’esperienza che lascia addosso una sottile inquietudine e una riflessione profonda su quanto, nel nostro mondo iperconnesso, siamo sempre più incapaci di comprenderci davvero.

Un film d’autore intenso, visivamente splendido e spietato nel suo ritratto della disconnessione umana. Se cercate emozioni forti e cinema che lascia il segno, Family Therapy è una tappa obbligata.

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