Musica Recensione

L’île noire: l’album musicale dei Fil Rouge Quintet che non sanno cosa sia la banalità

Settembre per molte persone è il mese dei nuovi inizi. L’estate si allontana lentamente, lasciando spazio alle tiepide giornate autunnali, dove nuovi colori iniziano a prendere il controllo di qualsiasi panorama. In queste settimane, contraddistinte dal ritorno al tran tran della vita di tutti i giorni, con i rumori del traffico che ci riportano alla realtà, ho avuto il piacere di scoprire un lavoro che ha il vero sapore della novità.

Sto parlando di L’île noire, un album musicale dei Fil Rouge Quintet, che non sanno cosa sia la banalità. Di brano in brano si ha la sensazione di assistere a un flusso di coscienza, un fiume di emozioni che coinvolge e travolge in una serie di suggestioni uniche nel loro genere. Bastano poche note per capire che ci si trova di fronte ad un gruppo composto da artisti esperti e competenti, che non solo conoscono e amano la musica, ma sono anche in grado di usarla per esprimere qualcosa che vada oltre ciò che è sullo spartito.

Ad aver dato il via al percorso musicale di questi cinque artisti sono state Manuela Iori, compositrice e pianista, e Maria Teresa Lionetti, autrice e cantante. Insieme a loro ci sono Charles Ferris (tromba flicorno ed effetti), Ettore Bonafé (batteria e percussioni), e Michele Staino (contrabbasso). Quando ci si trova di fronte ad un album come L’île noire le presentazioni sono doverose, perché l’impressione è proprio quella di ascoltare cinque differenti anime che si uniscono per inviare un messaggio al cuore di chi ascolta.

Ascoltando le tracce una dopo l’altra viene da chiedersi cosa sia esattamente questa “isola nera” di cui parla il titolo. A dare una risposta è probabilmente la copertina dell’album, un lavoro originale che ricorda quanto l’arte visiva e quella musicale possano andare di pari passo nel realizzare un’opera che sia completa sotto ogni punto di vista. L’isola nera è per certi versi un approdo a cui si può giungere nel peregrinare della propria esistenza.

Ed in fondo è un po’ il tema ricorrente nelle varie composizioni di L’île noire, in cui vita e morte si intrecciano, per poi allontanarsi e infine legarsi di nuovo, in un movimento a volte ritmico, a volte asimmetrico, imitando l’imprevedibilità dell’esistenza.

Dal punto di vista stilistico si notano le influenze provenienti dal mondo jazz, ma non mancano commistioni dal respiro internazionale. Come vi ho già accennato in questo album la banalità è assolutamente vietata. Il merito va all’uso di stacchi ritmici e di cambi di tempo improvvisi e imprevedibili. Il tutto continuando a cercare una profonda armonia che accoglie e prende per mano l’ascoltatore.

Infine cos’è che ho apprezzato di più? La capacità di realizzare un album che sia vera unione con altra musica, senza per questo snaturare lo stile del Fil Rouge Quintet. La traccia Tango Romanesco, che non potrete fare a meno di amare, vede la partecipazione del sax tenore Javier Girotto, mentre Les Villes Cachées ha il prezioso contributo di Badara Seck. E non posso non citare quella grande lettera d’amore a Franco Battiato che è Alexander Platz, riscoperta nello stile di questo passionale quintetto.

 

Francesco Ferri

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