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Il mare contenitore di vita: il magico album di Paolo Ganz

Il migliore tra i suonatori d’armonica, il mare e un viaggio. Paolo Ganz soffiando incita i venti a fare lo stesso, così lascia un porto sicuro per iniziare una personale deriva, costruttiva, sostenibile, dove la meta è il percorso stesso e la speranza non appartiene al sogno. Il mare valutato nel ruolo originale di contenitore di vita ad unire il cielo e la terra con il suo abbraccio salato.

Ecco quindi che l’artista-compositore si immedesima, anzi diventa il navigante-nostalgico che porta nel cuore un patrimonio sociale, fatto di affetti, gioie e dolori e accetta con coraggio di affrontare una sorta di migrazione indotta che eleva l’ignoto a principe dei desideri e sincero amico che restituisce alle cose il loro valore intrinseco, genuino, privo di pregiudizi.

Il mare inteso come orologio informe che scandisce il ritmo degli eventi, sia quando scuote la roccia con la sua potenza ma anche quando è calmo ci ricorda che niente è certo e l’incedere delle intemperie fa parte del nostro vivere.

Le stesse tracce musicali sembrano voler dire questo in un coraggioso atto di serena ribellione, in cui tagliare gli ormeggi significa recidere il cordone ombelicale con madre terra abbandonando riparo e protezione per affrontare l’abissale fluidità del confronto.

La strumentazione di bordo, di questo artista-ammiraglio, indica una precisa scelta cognitiva; bandoneon (una variante della fisarmonica), saz (antica chitarra saracena), oud (chitarrina araba), duclar (clarinetto tradzional-popolare), harmonium indiano (piccolo organo), tabla (tamburo indiano).

Ne scaturisce un ensemble affascinante, armonioso, quasi un sound gitano d’oriente che agendo come il mare ci ricongiunge a quel che distrattamente abbiamo perso. Il punto forte non sta solo nella parte musicale, i testi mostrano una chiara sorellanza con la matrice poetica. Chi li scrive conosce i ferri del mestiere, i rimandi letterari e storici sono chiari e funzionano.

Il titolo è da considerarsi il migliore fra gli aperitivi: Borges, Atahualpa e le Magiche Lune, che è anche un brano dedicato dall’artista al compianto Ivo Pavone, contenuto nell’album.

Borges il più labirintico fra gli scrittori, Atahualpa l’ultimo imperatore Inca ucciso dagli spagnoli e le Lune Magiche a simboleggiare, forse, l’oro tolto con il sangue alla terra-isola cantata nel brano Questa mia isola.

Tra le onde sonore di questa eccellente opera, si alternano inoltre, altre otto tracce e un cospicuo numero non presentano il ritornello (oggi sulla terraferma si rischia la scomunica) come ad esempio in Gente D’oltremare e Naufraghi D’Autunno dove la narrazione procede, completa di termini ricchi e posizionati con estrema attenzione allargando i concetti che mai risultano sterili e superficiali.

Un recitato apre il viaggio, ispirato da uno scritto di Tomasi di Lampedusa, che mostra la visceralità, il forte legame tra l’autore ed il mare. Non è un transfer e nemmeno una sublimazione ma un preciso stato d’animo che coinvolge anche il corpo. Si può senza dubbio dire che qui niente è romantico semmai si cavalca verismo, si diventa clandestini a bordo della sua visione e questo pare essere lo scopo ultimo del suo errare fra le correnti, per farci sentire, farci vedere, farci innamorare di un’insolita salinità.

Visto che per creare un regno devi saperlo immaginare, disegnarlo sulla sabbia per poterlo cancellare e salpare ancora… cercando con simpatica disperazione un suonatore di cimbalon tra i canti del mare.

Roberto Iago Sannino

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