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L’incontro di Francesco Bruno e Silvia Lorenzo in Onirotree: la recensione

Un progetto nasce con i migliori auspici se alla base presuppone una visione e quest’opera musicale vive proprio in virtù di una scelta operata tra sogno e veglia. Impressione questa contenuta nel titolo ONIROTREE e dall’immagine scelta come copertina del cd e cioè l’albero di Oniro che nella mitologia greca è il figlio del Sonno e della Notte e mette in connessione l’uomo con le divinità.

Una visione acuminata che si fa corpo, nata dall’incontro fra due artisti solo in apparenza diversi: un compositore e virtuoso della chitarra, Francesco Bruno e un’attrice che eccelle anche nel canto, Silvia Lorenzo. A loro si aggiungono poi due compagni di ventura molto quotati, il batterista Marco Rovelli e il contrabbassista Andrea Colella.

Il pentagramma è animato dalle note dell’amore, tema affrontato infinite volte in ogni ambito, ma il modo con cui viene descritto porta ONIROTREE in una zona indefinita, molto personale, si direbbe quasi apolide, eliminando separazioni e nomenclature per dirci che il meridiano dell’amore è ovunque.

Sono 10 i brani dell’opera e tutti provengono da lontano… lontananza intesa in senso temporale e geografico. Si rielaborano ballate molto antiche appartenenti alla tradizione popolare di diversi paesi europei. L’ultima traccia inoltre è un commovente omaggio a Violeta Parra, compianta cantautrice cilena morta suicida nel 67’, il testo è del poeta Fabio Simonelli.

Questo già rappresenta una inversione di tendenza, una scelta fuori schema e non esiste una forma musicale più appropriata se non il jazz, che fa della poliritmia e dell’uso cuneiforme dell’improvvisazione il fondamento dinamico della sua esistenza. Francesco Bruno ci parla di una certa filogenesi, rivendica l’appartenenza storico-popolare e la attualizza, stando bene attento a non vincolarla in prigioni di giudizio ma si impegna a lasciarla fluire rendendo fresche e agili le cellule ritmiche che si alternano nelle riprese di ogni suite.

Il suo nervo-Jazz esplode, trova la calma, sale e scende, ci trasporta per renderci parte attiva del progetto, aiutato nell’impresa dal potere curativo di Silvia Lorenzo che ferma il tempo con una dote vocale magica e trascendente.

L’ascoltatore non può prevedere dove si andrà a parare, trovandosi nel bel mezzo di un labirinto di suoni e contrappunti; d’altronde come disse Louis Armostrong, rispondendo ad uno sprovveduto intervistatore su cosa fosse il jazz “Amico se lo chiedi non lo saprai mai”.

In questo il jazz è avvicinabile all’arte poetica (la scelta di usare il testo di Simonelli non è casuale), si può azzardare la presenza di un correlativo “soggettivo” tra loro, difficilmente riscontrabile con altri generi musicali. Chi impugna una penna o chi imbraccia una chitarra (come in questo caso) pur conoscendo la tecnica la abbandona all’atto della creazione, effettuando un reset cosciente per inseguire e farsi seguire da una chiamata immanente.

È un fenomeno primigenio che coinvolge il cuore, ma non quello che batte nel petto piuttosto quello che fa brillare l’anima, che si trova ovunque e in nessun posto, in una sorta di caccia che non uccide prede ma crea forma nuova laddove non è, lungo un tragitto imprevedibile, mai scontato; dopotutto è molto più gratificante il percorso che la meta… ecco il viaggio è iniziato, i cacciatori si sono mossi… mi pare di vederli… mi pare di toccarli.

by Roberto “Iago” Sannino

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