Musica Recensione

Una moderna “trovatrice”: Giorgia Zangrossi

È un dato di fatto che per una donna emergere nel mondo dell’arte è molto più difficile. È un dato di fatto che la canzone d’autore viene associata ai mostri sacri del cantautorato e quasi mai a voci femminili. In poesia questo è meno marcato, a diverse artiste è stato assicurato il giusto posto nell’album dei migliori, ma se consideriamo che poesia e musica sono state molto vicine fin dalle origini, viene naturale dare uno spazio consono a questa autrice che sa ben affiancare la materia poetica al supporto musicale, trovando così asilo nella prestigiosa tribù degli chansonniers. D’altronde lei stessa nel suo precedente lavoro (Canzoni Addosso) ha omaggiato i massimi esponenti di quella tribù, primo fra tutti Francesco Guccini per stessa ammissione dell’artista, suo indiscusso mentore. Riverberi che si ripropongono in questo nuovo progetto Sono, ma con una decisa differenza: qui lei è! Lascia il nido e le cure parentali per affrontare il vento da sola e in questa epoca di frivolezze musicali che spariscono in un amen, riesce con maturità indiscussa e un coraggio non indifferente a stabilire un delicato equilibrio fra leggerezza e messaggio, una Leggerezza Calviniana e non è un caso che proprio una traccia rimandi a questo, perché la canzone d’autore proviene dalle retrovie della coscienza, dove pochi hanno l’ardire di indagare e ancor meno sono quelli che riescono poi a riferire in modo appropriato senza scadere in pietismi e luoghi comuni. Questa cura si nota in tutti i brani, lei pondera i termini e le quartine risultano fluide e chiare, pesano pur manifestando, appunto, leggerezza. I concetti non risultano lineari e limitati alla solita coppia di versi ma si aprono sullo spazio musicale, arricchiti da simboli, metafore e percorsi personali attualizzati da una fresca sensibilità. Versi come “Sono ciò che non vedi e che non tocchi” e “Non c’ero ancora ma dov’ero lo so già” (evito di dire a quali brani appartengono sperando di invogliare all’ascolto), evidenziano nel primo l’allontanamento da qualsiasi forma di pre-costituzione per incarnare una vigile presenza, ancor più spiazzante il secondo che attua un cortocircuito sintattico tra un passato non vissuto e la sua evocazione, immaginata in modo così totale al punto di essere quasi esistita per davvero. Sono si compone di 15 brani, 10 dei quali interamente creati dalla Zangrossi, 4 sono interamente a firma di Gigi Marras e 1 è di Paolo Capodacqua; in questi ultimi l’artista si fa apprezzare anche per le doti di interprete, dato che non è così scontato trovare un certo tipo di cantautori forniti di un eccellente timbro vocale. A questa collana di perle se ne aggiunge un’altra: Milena Agus appunta un piccolo inno alla ricerca della bellezza con Le parole di Milena, recitato dalla Zangrossi. Un discorso a parte va articolato sugli arrangiamenti, dove l’intesa tra Marras e la cantautrice è massima. L’equilibrio tra testo e accompagnamento è pieno, nessuno sopravanza l’altro e la parola così emerge in tutta la sua poeticità, altra caratteristica della canzone d’autore questa, che non considera la parola come semplice orpello o segno riempitivo ma ossatura fondamentale dell’intero discorso musicale. C’è un altro dato di fatto, piacevole, una felice constatazione: alcuni cantautori cercano di stimolare l’ascolto, quasi creandone uno nuovo, lasciando l’intrattenimento per trattenere, per donare anticorpi sani, in grado di rafforzare l’intesa sociale. Al netto di ogni considerazione la canzone d’autore è il nostro corpo sociale e nonostante questa epoca di sventatezza seriale, resiste, non necessitando di luci artificiali e giochi di prestigio. Con serena determinazione questa moderna “trovatrice”(termine preso in prestito dalla tradizione dei trovatori provenzali predanteschi) ne rinnova la presenza, ma senza far chiasso con encomiabile discrezione, come una rondine che passa con grazia sopra ai nostri occhi per farci apprezzare la magia del volo.

by Roberto “Iago” Sannino

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