The Jungle è un documentario diretto dal regista friulano Cristian Natoli, per la produzione di Tesla production (Italia) e 4Film (Croazia) e racconta l’avventura di Elisa Menon e dei suoi amici incontrati nella jungle. Ma facciamo un passo indietro: se è vero che i film nascono nella mente di registi e sceneggiatori, qualche volta ispirati da romanzi; che i documentari prendono vita dalla storia e dalla realtà e dalla passione di un regista, nel caso di The Jungle l’idea nasce da Hassan, immigrato afgano che lavora come mediatore nella questura di Gorizia, terra di confine e porta di accesso al ricco occidente, che ha contattato Elisa Menon, figura coraggiosa quanto visionaria, per chiederle di realizzare un progetto proprio su quelli come lui. Con quali parole abbia convinto a farsi dirigere da Elisa Menon dopo aver visto un suo video non è dato sapere ma la regista ha ricambiato la sua determinazione con appassionata ricerca e coraggio, intervenendo anche come attrice coprotagonista.
Gli altri attori sono tutti immigrati provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan che alla notte dormono nel dormitorio e al mattino si ritrovano nella foresta (the Jungle) per stare lontani da sguardi poco accoglienti quando non ostili. Socializzano tra di loro cucinando, mangiando e pregando sulla riva del fiume dove soltanto gli alberi ne sono testimoni.
L’idea geniale della regista è di trasformare il bosco in palcoscenico e platea e – udite udite – di chiamare a sé, dopo un progetto teatrale con gli stessi protagonisti di questa vita ai margini – il pubblico. E così gli spettatori, richiamati attraverso il volantinaggio per le strade della città, non possono fare a meno di sedersi nella notte e trovarsi a guardare quegli stranieri negli occhi come ad esseri umani e non come a degli invasori, combattendo e guarendo i propri atteggiamenti xenofobi. “Allenarsi attraverso il teatro, allenarsi ad avere relazioni con le persone” è l’obiettivo sociale. “Accettare di vedere gli altri e di vedere me” quest’ ultima frase viene diretta agli immigrati che come ospiti sono spronati a comprendere le reazioni poco accoglienti ma comunque umane degli spettatori ovvero dei cittadini ospitanti.
Con naturale narrazione ma non senza poca fatica, Elisa Menon riesce a portare su un palco arrangiato nel bosco un teatro di strada entrando in simbiosi con gli improvvisati attori che parlano soltanto inglese o solo la madre lingua. Il lavoro della macchina da presa e del montaggio di Cristian Natoli e di Enrique Carcione riesce a sopperire alla sobrietà di mezzi minimalisti.
E diventa bello e suggestivo entrare in contatto con i brividi di ansia che percorrono la schiena dei protagonisti e che si trasmettono anche a noi davanti lo schermo quando serpeggia la paura del flop: “E se non venisse nessuno a vederci ?” Andare in un bosco di sera a vedere una rappresentazione teatrale non è cosa di tutti i giorni …
Poi a mano a mano le sedie poste su un tappeto d’erba vengono occupate fino ad essere esaurite. Gli attori si rincuorano e prendono coraggio nel recitare l’essenziale: quei gesti essenziali imparati nel locale di una parrocchia, l’unica struttura disposta ad accoglierli. Attraverso una performance sintetica al massimo viene fuori tutta la sofferenza dei viaggi al limite della sopravvivenza che ognuno di loro ha sopportato per avere una speranza di vita lontani dai paesi dai quali sono fuggiti.
“Non è una moda. Siamo partiti per disperazione per raggiungere un minimo di sicurezza” Questo è l’ essenziale da capire.
Nota di merito per la Tesla Production per aver prodotto, in collaborazione con la 4Film e la Regione Friuli Venezia Giulia, un documento che ci auspichiamo venga divulgato fra i giovani per comprendere che non dobbiamo temere queste persone, l’unica cosa da temere è di dimostrarci disumani nei confronti di gente che è stata costretta lasciare la propria patria.
Chiudiamo con una frase di Elisa: “Quando si finisce non rimane niente se non nel cuore di chi ha fatto e di chi ha visto”.
By Fabrizio Compagnoni