Cinema

The Passengers: un racconto di persone e di dignità

Parlare di Docu-film non rende l’ idea, meglio forse il neologismo “Vita in diretta al Cinema” tanto è la realistica trasposizione in immagini di Tommaso Valente e Christian Poli per Kamera Film del progetto sociale “Housing first” della Regione Emilia Romagna, un progetto pensato per dare casa a persone che hanno perso tutto, spesso lontane da affetti familiari.

Un documentario asciutto che tiene tuttavia con forza l’attenzione dello spettatore, anche quanto lo stile si fa più da programma di Cultura di Radio 3 e ti aspetteresti da un momento all’altro il classico spot tv a frammentare la trasmissione.

Parlare di persone che hanno perso tutto non ci deve far pensare al classico clochard con la barba incolta e ingrigita: i protagonisti di questo documentario sono persone che incontriamo quotidianamente e che spesso nemmeno attirano la nostra attenzione. C’è il cinquantenne con aria da professionista. La badante straniera che si occupa di anziani, e giovani che potrebbero tranquillamente frequentare l’Università. Tutti con precedenti di sciatteria mentale e fisica, il Goblin mode.

A qualsiasi età e in qualunque posizione sociale ci si trovi perdere la casa è qualcosa di devastante sempre e questo i due direttori, con l’aiuto regia di Paola di Natale, lo hanno saputo descrivere con efficacia senza fronzoli di sentimentalismi.

“E’ come un bicchiere che va in mille pezzi”, questa una delle esternazioni che rilascia in presa diretta una delle donne segnate dalla sofferenza.

I protagonisti delle storie non recitano, ma si aprono alle telecamere senza nascondere nulla scendendo in particolari che riguardano la propria vita privata presente e passata.

Alle spalle ci sono storie di droga e patologie,  per lo più per gli italiani, oppure migrazioni forzate e tentativi di ricongiungimento per gli stranieri.

La voce narrante quasi alla fine del lungometraggio rivela di essere stata lei stessa in difficoltà e di essere stata aiutata a venirne fuori proprio con un progetto sociale di questo tipo. In un attimo il fil rouge di malinconia che lega le storie alla narrazione apre uno spiraglio alla speranza, anzi a qualcosa di concreto: la possibilità di farcela.

Proprio questo l’intento che i servizi sociali che hanno accolto il modello dell’housing first si sono prefissi e che alcuni protagonisti sentono di poter raccontare. Insomma, Dalle stalle alle stelle è la frase che si associa ad un volto sereno e senza finzioni. 

Ecco ancora una volta che cogliamo l’aspetto che distingue questo lavoro dal più classico film o anche documentario sociale: gli attori non recitano, i personaggi non sono in posa, non seguono un copione e la sceneggiatura è scritta in contemporanea con la loro vita.  

Una nota va fatta: suddividere l’ evoluzione delle storie come fosse un libro da leggere, anche se originale, non sembra azzeccata, forse sono reminiscenze da scrittore degli autori. Un difetto, forse, che i più strenui lettori di libri per paradosso possono valutare come pregio e, in ogni caso, la scorrevolezza della narrazione non ne soffre. 

E dal momento che non ci troviamo di fronte ad un giallo del quale è imperativo non rivelare il finale, vale la pena riportare la battuta finale del film: “Andare al lavoro con in mano le chiavi casa in tasca è tutta un’ altra cosa”.

Una nota: le musiche originali di Eugenio Valente e Andrea Simiele, appaiono realmente originali e sempre coerenti con le immagini.

Un particolare merito va alla cura dell’animazione di Arianna Gheller e Matteo Burani, originalissimo corredo del racconto: minimaliste nei mezzi ma efficaci nella loro semplicità a rappresentare il dramma umano.

by Fabrizio Compagnoni

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