Da assidui frequentatori dello spettacolo italiano, teatro ma anche cinema e Televisione, ci troviamo troppo frequentemente a fare riflessioni sul Talento. Ci hanno sempre detto che “il Talento paga”, prima o poi, ma ripetutamente abbiamo potuto constatare con amarezza il contrario. E ogni tanto ci va di sottolinearlo. Che una carriera, nel mondo dello Spettacolo (ma non solo!) sia disseminata di “aiutini” lo sappiamo: il metro di valutazione è stato deformato, e non è quasi mai il Talento, che impone un’onestà intellettuale e una sensibilità artistica troppo impegnative. Meglio ricorrere a “talenti” alternativi, molto più redditizi e veloci. E’ così e lo sarà per sempre, che ci piaccia o no. In tutti i settori. Per uomini e donne. Finché il Talento non diventerà la sola coordinata variabile che fa di una persona il suo essere “talentuosa” o meno. Questa viscerale riflessione, ci riporta al perchè di questo articolo, nato dopo la visione di uno spettacolo teatrale: la Fedra di Seneca, visto al Teatro Sala Uno di Roma, per la regia di Mariano Anagni. Perché in questo spettacolo c’è un attore che seguiamo da anni, e ogni volta abbiamo avuto la percezione che fosse in procinto di fare il “salto” e ottenere quello spazio che merita e quella visibilità che “fa” una carriera: è Patrizio Cigliano. Ma prima di scrivere di lui, è giusto dire che questa Fedra è un bellissimo spettacolo di respiro magniloquente, da grande Teatro, forte di un testo di una modernità assoluta e che disorienta, se si pensa che è stato scritto da Seneca, morto 65 anni dopo la nascita di Cristo. La tragedia, togliendo tutti i complicati riferimenti mitologici, parla della decadenza del potere, della caduta dei valori, della lussuria che caratterizza i potenti, della forza della passione, dell’Amore. Temi spaventosamente attuali. La trama: Fedra è sposata con il Re Ateniese Teseo, semi-eroe controverso e ambiguo che l’ha abbandonata per uno di quei viaggi iniziatici che caratterizzano tutta la letteratura mitologica. Durante la sua assenza, la protagonista si innamora perdutamente di Ippolito, figlio di primo letto di Teseo. Prova a sedurlo, ma Ippolito, che ha scelto una vita ritirata nella natura e fuori dalle storture dell’ipocrita civiltà – comprese le trappole dell’Amore – la respinge indignato. Nel maldestro tentativo di non assumersi la responsabilità del mancato amplesso, Fedra dice a Teseo, appena tornato ad Atene, di aver subìto violenza da Ippolito. Teseo si infuria e maledice il figlio che viene orrendamente ucciso da un mostro marino generato da Nettuno, suo Dio/Padre. Fedra non sopporta il senso di colpa, confessa la menzogna a Teseo e si uccide, lasciando il Re in una devastante solitudine, divorato dal dolore per la morte del figlio, da lui invocata al Dio del Mare. Passione, onore, politica, lussuria si intrecciano raccontando un Mondo antico, che poi così antico non è. E il monologo della nutrice che mette in guardia Fedra sull’onnipotenza di cui si sentono investiti i palazzi di potere, ci suona tristemente familiare. E ha più di 2000 anni! La Regia di Mariano Anagni è classica e rigorosa e ambienta la scena in una specie di ex reggia, fatta di mobilia disordinata, vecchia e decadente, molto efficacemente illuminata nella splendida location del Teatro Sala Uno, lasciato giustamente spoglio. La Compagnia di questa Fedra è di primissimo livello: Marina Biondi è una Fedra vibrante e instabile, combattuta tra la passione e la morale, con una padronanza attoriale esemplare e toccante. Il giovanissimo Gabriele Anagni è un Ippolito risoluto e convincente, con qualche acerbità tecnica che però bilancia con una forte prestazione fisica. Molto coinvolgente è Marina Zanchi, una dolente Nutrice seriamente preoccupata per il tragico susseguirsi degli eventi. Lavinia Cipriani è il commovente messaggero che racconta a Teseo l’orribile fine del figlio, in un monologo talmente evocativo da sembrare un film. Il coro, che dispensa il senso morale dello spettacolo e del testo con le battute di maggiore modernità, è affidato a Cristina Pelliccia e Erika Puddu (quest’ultima è l’unico anello un po’ debole, ed è un peccato, perché la sua performance non è all’altezza di un ensamble di così alta fattura). E poi c’è Patrizio Cigliano, che fa un Teseo strepitoso, appoggiato ad una tecnica che padroneggia con consapevolezza e disinvoltura, aggiungendovi quei toni di palpabile dolore che raccontano la devastazione di un Padre che assassina – e per di più per un inganno! – suo figlio. La sua interpretazione è esemplare: tragica ma moderna. Fisicamente vigorosa eppure intima. Vocalmente ineccepibile, piena di sfumature e sottotesti che non ci fanno distogliere gli occhi da lui anche quando non parla. C’è la grandezza del Teatro classico, ma anche la confidenza del cinema. Non c’è quella retorica di toni che certe parole ricercate potrebbero generare, c’è la comunicazione di un pensiero, di un sentimento. C’è un attore che “parla” con il pubblico, e pur dicendo cose “pesanti”, lo fa con una leggerezza che le fa passare in platea con grande semplicità. C’è un attore di non consueto Talento, insomma. Un attore che dovrebbe avere una carriera molto più riconoscibile. Una carriera che a nostro avviso dovremmo vedere anche al cinema. Un attore che ogni volta che leggiamo su una locandina abbiamo fiducia di andare a vedere, perché ogni volta ha saputo sorprenderci e convincerci (il romanissimo Mandrake del recente musical Febbre di Cavallo del Sistina ce lo ha fatto vedere comicissimo e canterino come non potevamo immaginare). Sì: un attore di raro Talento, troppo poco utilizzato, per il suo valore, e che per questo alimenta in noi il sempre più grande Mistero del Talento in Italia.
Fedra, di Seneca
Regia di Mariano Anagni
con
Marina Biondi Fedra
Patrizio Cigliano Teseo
Marina Zanchi Nutrice
Gabriele Anagni Ippolito
Lavinia Cipriani Il Messaggero
Erika Puddu Corifea 1
Cristina Pelliccia Corifea 2
Scene e costumi Maria Spataro
Luci Giovanna Venzi
Al Teatro Sala Uno di Roma (S. Giovanni) fino al 29 ottobre 2017. Da non perdere.