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IL SANREMO DELLA …. “GGGENTE”

Mentre sui social marciano le milizie del “boicottiamo Sanremo” e gli avanguardisti delle amenità social-filosofiche da salotto continuano a diffondere la loro indignazione, al teatro Ariston si continua a cantare e la Rai continua a mietere ascolti. Saranno tutti “populisti” quei 10-12 milioni di spettatori che ogni sera, per cinque serate, si collocano e si collocheranno in salotto davanti alla tv per seguire la rassegna della città dei fiori? E se così fosse, gli altri dove sono, visto che sulle reti restanti, chi ha più successo supera di poco il milione di ascolti? E provare invece a pensare che il Festival di Sanremo, giunto alla 67a edizione, è uno dei rarissimi eventi rimasti ancora in grado di coniugare il nostro passato con il presente, non sarebbe più realistico? Ricordare che vi sono canzoni passate da questa rassegna che sono divenute i simboli di intere epoche e generazioni, non contribuisce forse a ricostruire un pezzo importante di storia del nostro Paese?

Certo, i tempi cambiano e se un tempo a frequentare il festivalone erano pressochè soltanto i veri big nazionali ed internazionali, oggi dietro a quella definizione trovano collocazione e visibilità personaggi di seconda fascia affiancati da schiere si semisconosiuti e sconosiuti in cerca di un improbabile successo. Ma poiché trattasi pur sempre di festival della canzone italiana e non di cantanti italianim ecco che una bella canzone resta tale a prescindere dal suo interprete.

Scopriamo così che Portami via, cantata maluccio da Fabrizio Moro, è una bellissima canzone; che Tutta colpa mia cantata da Elodie è una brutta canzone affidata ad una bellissima voce; che Che sia benedetta è un brano con un testo molto intenso, affidato alla splendida interpretazione di Fiorella Mannoia, probabile vincitrice del festival; scopriamo poi che Ora esisti solo tu, cantata da Bianca Atzei non si riesce a comprendere se a non “bucare” sia il brano oppure chi lo interpreta e lo stupore è rafforzato dal fatto che si tratta di una bella canzone affidata ad una splendida voce. Tutto qui. Il resto è ordinaria amministrazione.

Forse qualche brano, i più “radiofonici”, ci accompagneranno per qualche settimana dopo la fine del festival. E probabilmente non saranno i brani migliori, ma semplicemente  quelli che “entrano” più facilmente. Tra i giovani per altro non si sono intuite grosse personalità e sapendo di tanti talenti veri sparsi per l’Italia, si fa difficoltà a comprendere la presenza al festival di personaggi come Sergio Silvestre e Ludovica Comello che hanno suscitato perplessità non solo con i brani in gara, ma anche alle prese con le cover (che hanno invece visto una stupenda interpretazione di Ermal Meta alle prese con Amara terra, molto più convincente di quando non lo sia la sua canzone in gara).

E, concludendo, le bocciature: appare evidente che a Sanremo il rap non piace, le due eliminazioni dalla categoria dei big (big?) di Nesli e Alice Paba e Raige e Giulia Luzi, lo hanno testimoniato in modo più che palese, insieme all’eliminazione rischiata anche da Clementino.

Ma anche in questi aspetti è possibile ravvisare in qualche modo una linea di continuità in tempi diversi: ci furono anni in cui qualcuno avrebbe voluto vedere i discepoli dei Deep Purple e dei Led Zeppelin sul palcoscenico del festival e chi provò a cimentarsi con il rock (Vasco Rossi su tutti) ne uscì con le ossa rotte. Ora è il momento del rap e non sembra che le cose vadano meglio. “Non bisognerebbe far votare la ggggente….” sbraitava un collega qualche anno fa in sala stampa. Il problema è che, se votassero altri, la “ggggente” non guarderebbe più Sanremo.

Giorgio Pezzana