A fine novembre è uscito nelle sale Come diventare grande nonostante i genitori: commedia di Luca Lucini, con Margherita Buy e Givanna Mezzogiorno e con la colonna sonora di Fabrizio Campanelli, compositore eclettico e eterogeneo (che forse vi ricorderete per un celebre spot commemorativo di Calzedonia….) a cui abbiamo voluto porre alcune domande.
https://www.youtube.com/watch?v=c542CRXtaSA
Cosa significa fare una scelta anticonvenzionale in musica?
Significa tradire le aspettative schiacciate su un’iconografia musicale e sonora che spesso rispecchia solo in piccola parte la complessità e l’apertura della sensibilità di un mondo, quello dei ragazzi, troppo spesso conformato allo sguardo della peggiore maturità adulta, fatta di disincanto, compromesso, se non proprio disagio. A una chitarra acustica si può affiancare tranquillamente un fagotto senza timore di non essere in sintonia con un adolescente e anche con un’orchestra sinfonica o strumenti etnici si può seguire il racconto di una favola che a volte può essere pulita e con un lieto fine che non cerca compromessi al ribasso, ma punta direttamente al sogno. Ad esempio, assecondando il meccanismo narrativo della favola, una marimba o un santoor possono veicolare un senso di minaccia o frustrazione proiettandolo nel fantastico e veicolando al contempo un senso di disattivazione e di controllo della stessa. Significa anche cercare di strutturare un racconto musicale che abbracci l’emotività senza cedere alla forma più banale di retorica del sentimento, rimanendo allo stesso tempo in un sentiero fiabesco che è inevitabilmente manicheo.
Sempre parlando di scelte artistiche: che cosa ha significato per te confrontarti con il mondo dell’adolescenza?
Riguardo alle canzoni ho cercato di far convivere tematica semplice e accessibilità melodica con cui sentirsi immediatamente familiari, ma allo stesso tempo sorpresi; pochi gli strumenti suonati dai ragazzi – quelli tipici di una band giovanile – ma un impianto e un carattere che rimanessero agganciati alla profondità di una colonna sonora e con il supporto sinfonico. Guardare col naso all’insù, cercando di rendere onore alle musiche che hanno fatto grande il cinema dei ragazzi, quello che in passato mi ha fatto sognare. Lavorare con loro è stato bellissimo, una ventata di energia pura. Leonardo Cecchi (Alex) che doveva sopportare un bel carico di responsabilità, ha dimostrato una maturità, una espressività e una passione incredibili, tirando fuori doti da vero leader vocale, non scontate per la sua età.
Quali i confini fra ispirazione e didascalico?
Sono gli stessi che dividono l’ordine dal disordine. Lo schema prevedibile è didascalia. L’inatteso, l’errore, è ispirazione. Diciamo che quest’ultima è un disordine ordinato.
Volendo fare una storia dell’ascolto e della creazione della musica per le immagini: come vedi il futuro della musica per immagini appunto. Dove stiamo andando?
La bellezza del percorso evolutivo della musica per immagini è la sua non linearità. Se la sua genesi affonda le radici nel sinfonismo tardo romantico e nell’opera lirica, rispettivamente negli ambiti di applicazione americano e europeo, il suo sviluppo ha abbracciato una notevole quantità di linguaggi e declinazioni, di novità timbriche e di sperimentazioni che hanno reso la musica applicata il luogo a mio parere più interessante di innovazione nella tradizione, nell’assenza di qualsiasi autoreferenzialità, e per questo, quindi, anche il luogo della massima sincerità espressiva. Credo che la forma musicale stia virando sempre più verso un carattere internazionale, sensibile a influenze armoniche e timbriche sempre meno localizzazbili, L’innovazione tecnologica ha scandito l’evoluzione sonora negli scorsi decenni e sicuramente continuerà a farlo anche nei prossimi, in un contesto in cui la produzione di nuovi timbri o strumenti è sempre più, in ambito informatico, alla portata di molti, a differenza di un tempo anche non troppo lontano in cui solo pochi e strutturati centri erano in grado di portare avanti la ricerca. Negli ultimi anni c’è stata una forse tendenza verso l’ibridazione fra austico e elettronico, una paletta timbrica molto ricorrente nelle sonorizzazioni, e penso che la sua spinta propulsiva non sia ancora terminata. C’è molto bisogno di matericità sonora e di calore, anche nel suono elettronico più spinto, anche se poi i modelli che tendono a imporsi sono imprevedibili e figli di scelte felici, se non proprio geniali, rese spesso possibili proprio dagli stessi registi.