L’ultima stagione cinematografica sarà ricordata dagli appassionati di colonne sonore come quella della riscoperta dei tamburi. La batteria, normalmente delegata all’accompagnamento ritmico, irrompe infatti con la veemenza del suo timbro non solo come strumento solista della colonna sonora del film vincitore degli Oscar 2015 – “Birdman” di Alejandro González Iñárritu – ma anche come protagonista indiscussa della sceneggiatura di “Whiplash” di Damien Chazelle, altro film vincitore di 3 premi Oscar (attore non protagonista, montaggio e sonoro).
Fa una certa sensazione leggere il nome di Antonio Sanchez, affermato batterista jazz collaboratore di Pat Metheny e Chick Corea, quale autore delle musiche di Birdman. La sua “prima” esperienza che, peraltro, ha mancato di poco la nomination all’Oscar. La sua candidatura è stata infatti eliminata dall’Academy solo perchè considerata inelegibile in quanto in alcuni momenti i fraseggi di batteria si sovrapponevano a qualche frammento di musica classica. Ma a prescindere da questo aspetto regolamentare ritengo assolutamente funzionale e d’impatto questa scelta stilistica. Ad esempio trovo che l’uso costante dei piani sequenza, caratteristica principale del film, si sposi perfettamente con la componente ritmica che quasi sembra sostituire gli stacchi di montaggio. Anche gli interventi dei brani di repertorio classico (Ravel, Rachmaninov, Malher) contrastano perfettamente dando respiro e profondità a tutto il commento musicale. E poi un plauso al coraggio perchè non credo sia stato facile far digerire all’establishment hollywoodiano la particolare idea di affidare alla batteria solista, a volte tratta da session improvvisate, il tema conduttore di un film anzichè alla consueta scrittura orchestrale.
Forse però può aver fatto da apripista Whiplash, l’altro film di cui scriviamo. Qui la batteria è invece parte integrante della trama dal momento che il protagonista è appunto uno studente del corso di questo strumento presso lo Shaffer, il conservatorio di Manhattan. Fulcro narrativo del film è il rapporto decisamente turbolento tra l’ingenuo allievo e l’esigentissimo e autoritario maestro (il premio Oscar Jonathan Kimble Simmons). Lo Shaffer viene descritto iperbolicamente come un luogo dove non si respira la bellezza dell’arte quanto l’agonismo e la competizione. Una scuola dove un professore vagamente psicotico sembra molto più interessato alla velocità con la quale l’allievo suona piuttosto che ad altre qualità interpretative. Via via tutto scivola nell’aspetto muscolare e iconografico della batteria (smorfie di dolore e mani insanguinate nello sforzo supremo di arrivare ad essere il più veloce jazz drummer del pianeta…) e dove lo stile del drumming sembra rimasto fermo agli anni di Gene Krupa. Insomma è evidente che il regista Damien Chazelle deve aver subito qualche trauma adolescenziale e che questo film è un mirabile spot per allontanare le nuove generazioni dalla musica o quantomeno dallo studio di uno strumento.
Ma comunque sia, nel bene o nel male, Birdman o Whiplash, il 2015 resterà per sempre la stagione cinematografica dove anche Hollywood ha tentato nuove forme e soluzioni musicali battendo forte su timbriche inusuali: l’anno del tambureggiamento.