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INTERVISTA CON IL REGISTA DI RADIOCORTILE

La volontà è un ingrediente spesso indispensabile della creatività. E’ il caso lampante di Radio Cortile, un film che è nato dalla volontà indefessa di un gruppo di artisti, oltre ovviamente che del suo regista, che hanno voluto scommettere su un soggetto divertente, profondo, vincente, senza compromessi: impietoso con tutti propri personaggi, nessuno escluso, né chi il gossip lo fa né chi lo fruisce insaziabilmente. E ce l’hanno fatta.
Bene. Abbiamo voluto intervistare il regista, Francesco Bonelli, personaggio visionario, di quelli che piacciono a noi

Radiocortile: opera collettiva nel senso di comprodotta con tutti gli artisti che ci hanno partecipato. Un esperimento o la via futura per la realizzazione del cinema indipendente.
Certamente non è un esperimento. A volte nei film americani leggiamo nei titoli, co-prodotto da Tom Hanks, Robert Zemckuis o Stephenm Spielberg. Questo vuol  dire che quei mostri sacri hanno scommesso sul risultato economico del film, accettando invece del compenso una percentuale dei futuri incassi. Nel loro caso è molto sensato. Nel nostro caso, è una scommessa rischiosa. Il problema è il mercato e il fatto che per decenni i film americani sono stati garanzia di non passare una serata noiosa. Insomma, un italiano deve essere bravissimo, per far dimenticare alla gente di essere andata al cinema a vedere un noioso film italiano. Un film americano deve essere davvero brutto per fare uscire dalla sala un pubblico scontento. Il modello dei coproducers esiste. In Italia è un azzardo. Le cose non funzionano qui, perchè gli esercenti, i distributori e le Tv pensano di essere furbi a non adeguarsi alle linee guida delle normative europee sulla distrribuzione. E’ una lotta che hanno inziato Godard, Wenders ai tempi del GATT. In Francia e in Germania la lotta è continuata e ora si vedono i risultati. Quasi amici che guadana più di 100 milioni di euro nel mondo, è uno diei tanti frutti di una serie di regole che sono messe per difendere il cinema francese e gli investimenti fatti sull’audiovisivo. La cosa peggiore è che nella mente delle persone  in italia il cinema è un settore assistito, mentre può essere una indusria meravigliosa, che crea lavoro e che avrà grande richiesta a livello globale, perchè la grande scommessa è sul frronte di internet.

Abbiamo letto che hai scelto i tuoi attori sui palcoscenici del teatro: un po’ come tornare indietro nel tempo nel fare casting. Coraggioso….
Secondo me un attore si valuta a teatro. Giro sempre per teatri  teatrini e saggi di scuole di recitazione. Alcuni ragazzi hanno un magnetismo immediato, altri sono veramente animati da una determinazione che ti commuove. La percepisci. E anche ad altissimi livelli è lo stesso. Quando mi chiedono: sei un attore di teatro o di cinema io dico che non esiste questa separazione. Che è come chiedere a un sarto se sa fare i colletti o le asole o gli orli. Se sei attore lo sei a teatro al cinema e in Tv, ma avendo fatto tutte e tre le cose posso garantirvi che il  teatro è la prova più dura. Una volta ho avuto la fortuna di vedere recitare Roman Polanski a  Parigi in La metamorfosi di Kafka. E ho capito perché è un così grande attore. Tutti quelli che hanno trovato qualcosa di importante di nuovo, hanno fatto teatro. Mastroianni, Benigni, Troisi, Dustin Hoffmann, Pacino, Brando… La lista potrebbe diventare infinita. E quindi penso che sia coraggioso rispetto ai parametri di uno star sistem che in Italia in effetti non esiste. La vera incoscienza sarebbe far recitare qualcuno che non ha mai fatto teatro. De Sica lo faceva. Ma dietro aveva Zavattini a scrivere e lui  era un assoluto esperto di teatro. E tutta quella esperienza finiva nel suo cinema. Mi innamoro letteralmente degli attori in teatro. Credo forse sbagliando di poter percepire l’energia che circola. Tutte cose che al cinema e in tv diventano diverse perché in quei caso avverti molto di più la mediazione del regista.
Il protagonista del film: apparentemente cinico, immaturo, egoista, eppure…. Che cosa ha significato per te dirigerlo e interpretarlo?
Apparentemente questo personaggio è molto lontano da me, quindi quando ho deciso di interpretarlo ho cercato di non trovare una sorta di stereotipo della persona aggressiva, qualcuno che non potrei mai essere, ma piano piano ho cercato di concentrarmi gradualmente sulla mia forma di crudeltà. E ho visto che in me c’era questo forma di offensività falsamente ingenua, che è terribile a volte. Come uno che porta un pugnale in tasca ma si avvicina a te il più possibile sorridendoti per farti restare rilassato fino all’ultimo. E questo credo abbia funzionato. Ho mangiato, anche perché ho notato che alcune persone molto dominate dalla rabbia hanno dei chili in più. E poi ho pensato che ciò che maggiormente poteva essere efficace era raccontare qualcuno che feriva con l’esattezza, con il sorriso, quasi chirurgicamente. Quasi con l’aria di volerti aiutare, ma  lentamente ti spinge nel precipizio della tua sfiducia. Ecco, così ho pensato che avrei potuto arrivarci. E forse sono riuscito. Molti  mi hanno detto che ha fatto un buon lavoro. E anche io sono contento del risultato.
La nostra rivista parla di “stupore creativo”… Che cosa potresti dire ai nostri lettori che possa creare stupore nel tuo film?
Ciò che crea stupore nel film è la sua compattezza, La sua disperata unità fatta di innocenza e violenza insieme. Umorismo e ferite inferte per semplice sciattezza. lo stupore creativo mi interessa. Provi a guardare la tua mano come se la vedessi per la prima volta. Una volta ci vedi un’arma, una volta una pianta, un ramo, un elefante, una carezza. E’ importante capire che tu non puoi essere sempre presente. Le brevi fasi di latenza aprono mille piccoli risvegli. E il cinema ha proprio questo di affascinante. Fellini lo ha capito meglio di tutti. Lasciava che la continuità di esistere si assopisse aspettando come un giaguaro di filmare le scintille, le disarmonie irripetibili, i sogni. Sempre avendo la griglia e la mano di Flaiano dietro di sé. Sapeva che la sua scatola magica era ben congegnata per poter trovare lo spazio per la sorpresa. Sapeva dire anche che non aveva idee se per un periodo non le aveva. E’ un grande lusso e una grande sofferenza. Girare senza forzare, e solo quando ti senti coerente con  un tuo impulso profondo. E poi magari scegliere di dar spazio a ciò che non è previsto e ti fa prendere un’altra direzione, perché lì senti l’energia che cercavi. Questo  modo di procedere a volte fa perdere la pazienza ai collaboratori, ma sono  sicuro di una cosa: la parte di te che sbaglia, cerca, crea, non deve mai incontrare il revisore dentro di te. E tu devi voler bene e nutrire l’inventore, il cialtrone e il revisore accurato. Allo stesso modo.
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