Come e quando ti è venuta in mente l’idea di queste architetture visionarie?
È difficile dire esattamente il momento giusto in cui mi è venuta questa idea. Probabilmente dovrei andare indietro negli anni e risalire fino alla mia infanzia. Quando ero piccolo infatti passavo ore ed ore giocando con il Lego e già li, senza che nessuno mi dicesse niente, invece di seguire le instruzioni di montaggio in dotazione di ogni scatola che i miei mi regalavano, io davo vita alle mie costruzioni, ricombinando i pezzi e creando modelli di città in scala.
E poi come si è evoluta la tua tecnica?
Quando il Lego iniziò a mancare di dettagli, dovuto al fatto che permetteva unicamente configurazioni condizionate dai pezzi, passai al disegno tecnico in scala. Certo, avevo perso la tridimensionalità del Lego ma avevo ottenuto un massimo controllo su tutto quanto mi veniva in mente. Cosí, potevo disegnare autentiche città con la loro topografia, reti stradali e tutto quanto mi veniva in mente, sempre con il supporto dei libri di geografia che i miei mi regalavano ogni tanto. Con il passare degli anni, dopo l’arrivo del primo computer a casa e l’acquisto di un software di design in 2D che trovai in un centro commerciale, a 12 anni ho iniziato il mio viaggio nel mondo del CAD, che mi permetteva maggior dettaglio e precisione. Poi, con l’arrivo dei software 3D finalmente, sono arrivato a quello che faccio adesso. Le idee sono state sempre li, quelli che sono cambiati sono i mezzi a disposizione.
Come si incontrano e si mescolano oggi le varie forme di arte?
Oggi viviamo nell’era della democratizzazione della cultura. Sia dal punto di vista del creatore, che ha a disposizione tante nuove forme e mezzi, sia da quello del consumatore che non si accontenta semplicemente di consumare arte, ma che cerca di diventare creatore a sua volta. Quindi il miscuglio è qualcosa di normale oggi giorno. Io direi che le forme di arte che noi conosciamo come pure in realtà non lo sono state mai.
Il tuo è un lavoro al confine fra fotografia e architettura, immagine e struttura: ci puoi spiegare meglio il rapporto che hai con queste espressioni artistiche?
La fotografia oggi è in essenza digitale e permette al fotografo di non sentirsi in obbligo di stare attento al momento, visto che può fotografare tutte le volte che vuole, quasi senza limiti. L’architettura, invece, è diventata un’altra forma di arte, vicina alla scultura: dal momento che i palazzi piú convenzionali già ci offrono quanto è necessario per vivere e lavorare, il creativo in architettura deve dare alla propra arte un’altra funzione, piú legata allo scandalo, piú pubblicitaria. L’immagine è in constante evoluzione e la struttura è ogni volta piú complessa, tanto da permettere all’uomo di arrivare a costruire elementi di ingegneria impossibili pochi anni fa. Comunque, esiste un desiderio che accomuna noi tutti, fotografi, architetti, ingenieri ed artisti, ed è quello di poter influenzare la contemporaneità con le nostre creazioni. Dove per contemporaneità intendo lo “snapshot” della condizione umana nel momento presente.
Quali sono i paesaggi futuri che immagina Victor: quale forma prenderanno secondo te i paesaggi delle nostre metropoli?
Mi sembra logico pensare che vivere in città avrà un profilo di utilità che non avrà vivere in campagna. Il bello delle città è l’enorme densità umana che permette il costante interscambio culturale e di informazioni. D’altra parte, vivere in città ci allontana della vita, dalla natura, dagli insetti, dalle avversità climatiche. L’uomo di città ama le comodità, come scendere un attimo al supermercato sotto casa per acquistare un po’ di formaggio invece di comprarsi due mucche e farselo da sé. Per cui, se questa dinamica dovesse prendere piede, vedremmo che nel futuro tutta la gran parte dell’umanità sceglierà di vivere nelle città che saranno sempre più grandi. Perlomeno quelle che hanno un territorio per espandersi, o piú dense e alte per quelle che non lo hanno.
Ci sono altre possibili evoluzioni sostenibili?
Esiste un altro aspetto che potrebbe aprire alla strada opposta e contraria. In fondo, infatti, qualsiasi città è soltanto una macchina per fare soldi e, se il cittadino si dovesse rendere conto di essere un semplice ingranaggio che serve solo a permettere ad altri di produrre reddito sulle proprie stesse spalle, potrebbe maturare un tale livello di frustrazione da arrivare ad abbandonare la città. In tal caso potremmo assistere ad un progressivo spopolarsi delle metropoli a vantaggio delle campagne. In fondo, forse, parlare di futuro è piuttosto inutile, dal momento che ogni futuro ha un altro futuro davanti a sé che potrebbe stravolgere il suo passato.
Margot Frank